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Il Global Supply Chain Pressure Index (GSCPI), pubblicato dalla Federal Reserve Bank di New York ogni mese, misura il livello di tensione della supply chain in America. A Marzo questo indice, che a sua volta prende in considerazione altri indici tecnici specifici del mondo della logistica, spedizioni, e commercio internazionale, è ritornato ai livelli pre COVID. La carenza di prodotti, i colli di bottiglia nei porti e le interruzioni delle spedizioni degli ultimi tre anni si stanno risolvendo e una nuova era di stabilità sembrerebbe essere all'orizzonte.
Il mercato americano sta adattando le operazioni alle mutevoli pressioni del mercato e alla geopolitica diversificando gli approvvigionamenti. I cambiamenti in superficie includono una minore dipendenza dall'Asia, in particolare dalla Cina, e l'uso di una maggiore tecnologia di automazione per mantenere in funzione le linee di assemblaggio e le operazioni di magazzino.
Ma ci sono cambiamenti più duraturi che negli anni a venire influenzeranno in modo più ampio il modo in cui le aziende americane ottengono le materie prime e le parti, dove producono i beni e come spediscono i prodotti finiti ai consumatori. Nel loro insieme, i cambiamenti segnano il più grande cambiamento nel modo in cui le catene di approvvigionamento vengono gestite da quando l'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001 ha inaugurato una nuova era di globalizzazione.
Le catene di approvvigionamento postpandemiche vengono costruite con un focus sulla regionalizzazione, con la produzione più vicina a dove le aziende si aspettano di vendere i propri prodotti. I produttori americani si stanno anche muovendo per ampliare la base di fornitori in tutto il mondo, allontanandosi dal single-sourcing, e stanno aggiungendo l'automazione a tutto, dalle operazioni di magazzino alle decisioni di approvvigionamento.
La più grande vittima nelle nuove strategie della catena di approvvigionamento è stata il Just-in-Time.
La trasformazione della supply chain è un processo in evoluzione, lungi dall'essersi concluso, e, ovviamente, comporta costi ed investimenti. Più in generale, nel breve periodo sarà più costoso produrre tutta una serie di prodotti rispetto a quando la produzione era delocalizzata in Cina ad esempio. Da una parte perchè serve recuperare i costi dell'investimento in automazione, dall'altra perchè i costi di produzione saranno generalmente più alti.
Questa situazione di aumento dei costi può essere scambiata per inflazione ma non è inflazione bensì un riadattamento dei costi ad una nuova struttura produttiva. Una volta terminata questa fase di riorganizzazione della produzione l'aumento dei costi dovuto alla nuova struttura della produzione cesserà e con l'ottimizzazione delle procedure cominceremo anzi ad assistere ad una riduzione dei costi.
In altre parole: non è un aumento dei tassi di interesse che può fermare l'aumento dei costi legato al passaggio verso una nuova struttura della supply chain. La FED, e a ruota la BCE, sapranno accorgersene?
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