L'export italiano negli Stati Uniti e l'elezione del Presidente Trump

I potenziali effetti della rielezione di Donald Trump sull'export italiano: come le imprese italiane possono affrontare la sfida dei nuovi dazi [se ci saranno..] sulle esportazioni negli USA

L'11 Novembre scorso, Gaia Vendettuoli dell'AGI ha intervistato Lucio Miranda Presidente di ExportUSA, per un commento sulle prospettive delle esportazioni italiane a seguito delle elezioni presidenziali americane, nell'ambito della serie podcast pubblicata da AGI. Di seguito riportiamo la trascrizione dell'intervista. Il podcast originale può essere ascoltato seguendo questo link: 
https://www.agi.it/estero/podcast/2024-11-11/dazi-trump-rischi-italia-28679050/

Con le elezioni di Donald Trump come 47º Presidente degli Stati Uniti, torna l'incubo dei dazi e delle guerre commerciali. In campagna elettorale, Trump ha minacciato tariffe fino al 20% su tutte le importazioni europee, qualora fosse stato rieletto. Una prospettiva che pende come una spada di Damocle sull’Europa e, in particolare, sull’Italia, dato che gli Stati Uniti sono il secondo mercato di riferimento per il Made in Italy, con un export che, solo nel 2024, vale oltre 67 miliardi di euro.


Gaia Vendettuoli dell’AGI ne parla con Lucio Miranda, Presidente di ExportUSA.

G.V.:
La vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti riporta in auge una politica commerciale molto aggressiva. Secondo lei, quali sono i rischi per l’Europa in termini di dazi e quanto è esposta l’Italia?

L.M.:
Con l'amministrazione Trump il tema dei dazi sicuramente torna alla ribalta. Possiamo considerarlo come il secondo tempo di un film iniziato otto anni fa. Il primo tempo lo abbiamo già visto e vissuto sulla nostra pelle: noi aiutiamo le aziende italiane ed europee a investire e a esportare sul mercato americano, per cui abbiamo seguito la prima stagione giorno per giorno. La nostra opinione è che la nuova amministrazione Trump non metterà dazi indiscriminati su tutte le categorie di prodotto. Non sappiamo esattamente dove saranno applicati ma siamo certi che non andranno a colpire ogni settore. Per esempio, riteniamo improbabile che colpiscano i beni industriali, che costituiscono il nucleo delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti. In questo senso, possiamo essere moderatamente ottimisti e respingere una visione troppo catastrofica che a volte emerge dai media.
Un rischio concreto per l’Europa e, di riflesso, per l’Italia è che Trump aggiri l’Unione Europea come entità unica e avvii invece negoziati commerciali bilaterali con singoli Paesi, come Italia, Spagna, Germania e Francia. Questo potrebbe mettere alla prova la coesione europea: vedremo se l’Europa avrà la forza di contrastare questa situazione, che a mio parere si realizzerà quasi certamente.
Per quanto riguarda la Cina, di sicuro ci saranno conseguenze in termini di dazi e altre misure per respingere le importazioni dal Regno celeste.

G.V.:
Questo è, in fondo, il proseguimento della politica avviata anni fa: possiamo immaginare che i dazi su Pechino saranno legati soprattutto alla transizione ecologica, quindi includeranno settori come le auto a motore elettrico, l’acciaio, le batterie e i chip. Questa politica potrebbe avere ripercussioni indirette anche sull’Europa?

L.M.:
Sulla Cina sicuramente ma, come dicevo, le ripercussioni sull’Europa e sull’Italia non saranno indiscriminate. Non avrebbe senso colpire indistintamente tutti i beni industriali, poiché ciò danneggerebbe anche gli Stati Uniti stessi. Inoltre, l’economia americana attualmente è in ottima salute, quindi sarebbe da stolti sabotare questo equilibrio con misure eccessive. Il discorso con la Cina è diverso, più complesso e richiede due considerazioni fondamentali:

  1. La prima riguarda il fatto che se si riduce troppo il surplus commerciale cinese, la Cina potrebbe non avere più la stessa capacità di acquistare il debito americano, di cui attualmente è uno dei principali finanziatori grazie proprio a questo surplus commerciale. Di conseguenza, l’amministrazione Trump deve procedere con cautela per evitare di danneggiare seriamente l’equilibrio finanziario degli Stati Uniti.
  2. La seconda considerazione di fondo è che questa politica di dazi non è semplicemente una "guerra commerciale", come spesso viene descritta. Una guerra implica che, una volta fatta la pace, tutto torni come prima. Qui invece ci troviamo di fronte ad una strategia di lungo termine, con l'obiettivo di ristrutturare il sistema di produzione e commercio globale, in una sorta di reazione alla globalizzazione che abbiamo conosciuto finora. Questo tentativo di modificare i rapporti commerciali globali, intrapreso da Trump e portato avanti anche dall’amministrazione Biden (secondo noi anche in maniera più convinta), è molto più profondo e strutturale che non un semplice aumento dei dazi im port. Il presidente cinese ha già cominciato a ragionare in questi termini, ovvero trovare nuove basi per andare avanti, andando oltre i dazi. È utile perciò che le parti, Europa compresa, cominci a ragionare in questi termini.

G.V.:
Tornando alla domanda iniziale, se volessimo trovare un titolo alla nostra conversazione, secondo lei qual è il futuro dell’export delle imprese italiane negli USA, anche con questa nuova amministrazione Trump?

L.M.:
Il futuro dell’export italiano negli USA è salvo, a patto che le aziende italiane diventino sempre più preparate. È essenziale comprendere come si fa business in America, cosa si aspetta la controparte americana e quali sono le priorità per i clienti statunitensi. Ad esempio, negli Stati Uniti il servizio è fondamentale: per alcuni prodotti è addirittura più importante del prodotto stesso. Le aziende italiane devono essere pronte a rispondere a queste esigenze, dimostrando la qualità del servizio, oltre che del prodotto.

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