Guerra commerciale USA - Cina: Effetti macroeconomici e implicazioni sul commercio internazionale

Un aggiornamento sulla politica commerciale americana alla luce dei recenti sviluppi tra Cina e America



Giugno 2019

Con l’acuirsi dello scontro USA-Cina, le analisi internazionali si fanno più accurate e vertono sugli interrogativi principali. Quali saranno gli effetti per i contendenti, per i partner e per il sistema economico e commerciale globale nel suo insieme?

Riportiamo integralmente un interessante documento pubblicato da Confindustria sulle ricadute sul commercio internazionale della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.


Tutti pronosticano [che la guerra commerciale tra USA e Cina provocherà] perdite secche in termini di Pil sia per gli Stati Uniti che per la Cina ed un impatto ancor più significativo sui flussi commerciali bilaterali e sul commercio mondiale. Tuttavia, si prospetta anche la possibilità che l’effetto “sostituzione” dovuto ai dazi possa offrire ai partner mondiali la possibilità di incrementare le proprie esportazioni sia negli USA che, in misura minore, in Cina. In termini assoluti, la UE risulterebbe essere l’area che trae il maggiore vantaggio.

Tale primato, stimato in termini assoluti, non rispecchia però le grandezze reali: i 70 miliardi di USD di export aggiuntivo che la UE potrebbe conseguire in caso di total trade war fra USA e Cina, equivalgono a meno dell’1% del suo export mondiale, laddove i 27 del Messico, o i 23 del Giappone, rispettivamente il 5,9% ed il 2,3%. Inoltre, queste analisi non considerano l’impatto del versante transatlantico: dalle contromisure UE ai dazi USA su acciaio e alluminio, che potrebbero aumentare nei prossimi 18 mesi, ai dazi che potrebbero essere adottati da entrambi UE e USA fra l’estate e la fine dell’anno nel quadro della disputa Boeing-Airbus, nonché quelle – che porrebbero fine alle trattative in corso per un accordo tariffario – conseguenti a possibili dazi USA sull’import di auto.

Un aspetto sul quale tutti gli analisti concordano è che le frizioni USA-Cina non si esauriranno nel breve periodo, anche nell’eventualità che al G20 di Osaka di fine giugno Trump e Xi Jinping trovino un accordo. Tale prospettiva appare condivisibile e pone un interrogativo sempre più pressante: la sensazione diffusa è che quando gli Stati Uniti avranno risolto (anche temporaneamente) la vexata quaestio con la Cina, si concentreranno sulla UE dove, oltre alla manifattura e le auto in particolare, il fronte più delicato sarà il dossier agricolo, principale interesse USA nel quale gli interessi italiani sono rilevanti, gli orientamenti del governo sono tradizionalmente conservativi e l’opinione pubblica, italiana ed europea, è particolarmente sensibile. Infine, tra le preoccupazioni che Confindustria segnala da tempo, ora anche al centro dell’attenzione dei governi, assume concretezza il timore di un collasso del WTO, le cui conseguenze per l’intera comunità economica internazionale, ed in particolare per le economie esportatrici come la nostra, sarebbero incalcolabili.
 

Lo stato delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina

All’acuirsi delle tensioni commerciali fra USA e Cina e alle minacce di ulteriori misure ritorsive, si è accompagnata un’analisi più attenta delle possibili conseguenze. In particolare sugli effetti nel breve periodo per i due protagonisti, sui costi di una guerra a tutto campo per l’economia mondiale e per i principali partner commerciali, tra cui la UE. Nonostante la difficoltà a formulare previsioni attendibili, alcuni recenti studi forniscono degli scenari.

1 Fonte: Elaborazione dati UN-Comtrade relativi al 2018.
2 PIIE: Will a US-China deal remove the massive 2018 tariffs? (Aprile 2019). 3
Fonte: Elaborazione dati WTO
 

Effetti sull’economia e sul commercio globale causati dalla politica commerciale americana nei confronti della Cina e del Messico

È opinione diffusa che le tensioni si protrarranno per anni fra tregue e accelerazioni ed, anche con un accordo, difficilmente il livello dei dazi verrà riportato presto ai livelli pre-crisi. Pertanto gli ultimi scenari di previsione incorporano l’ipotesi che dazi del 25% colpiscano la totalità degli scambi fra i due Paesi.

4 OECD: Global growth is slowing amid rising trade and financial risks (Novembre 2018).
5 IMF: The drivers of bilateral trade and the spillover from tariffs (Aprile 2019).
6 Oxford Economics: Higher tariffs weigh on growth outlook (Maggio 2019).
7 ECB: The economic implications of rising protectionism: a euro area and global perspective (Aprile 2019). 8
IMF: The drivers of bilateral trade and the spillover from tariffs (Aprile 2019)
 

Ricadute sull'euro e sulle esportazioni europee [e più in generale sulle relazioni commerciali dell'Europa]

L’Area Euro aumenterebbe l’export negli USA fra l’1,7% e l’8,4% (con la Germania a trarre i vantaggi maggiori), mentre Canada e Messico ne beneficerebbero rispettivamente fra il 2,5% e il 7,5% e fra il 2,8% e 4,3%. Di segno opposto sarebbero invece le conseguenze sul mercato cinese: a fronte di un calo degli acquisti dagli USA fra il 36% e il 77%, tutti i più importanti partner cinesi vedrebbero ridurre le proprie esportazioni verso Pechino. L’area Euro fra il -1,6% e il -4,3%, l’Asia fra -0,8% e -4,9%, il Nafta fra -2,9% e -4,4%. Caso esemplare è quello dell’elettronica USA, che sperimenterebbe una significativa rimodulazione dei fornitori. Da primo (22,1% del mercato) la Cina passerebbe al 4° posto (11,5%), scavalcata dall’Est Asia (che passerebbe dal 15,6% al 17,7%), dal Messico (14,6%) e dal Canada (12,3%).

L’Unctad concentra l’analisi sull’effetto sostituzione che interesserebbe i prodotti manifatturieri divenuti più cari a causa dei dazi. Per ciascuno dei principali settori si distingue fra Trade diversion (acquisto dello stesso bene da altri fornitori), Retention (acquisto continuato, ma ad un prezzo maggiorato) e Trade Loss (sostituzione con uguale prodotto reperito sul mercato domestico). La conclusione generale è che larga parte dei prodotti gravati da dazi aggiuntivi negli USA e in Cina verrebbero acquistati da paesi terzi per percentuali comprese fra l’80% e il 90%. Soltanto una quota residuale sarebbe rilevata da produttori domestici o acquistata a prezzi maggiorati dagli stessi fornitori. Alcuni esempi: per i macchinari, a fronte di acquisti USA dalla Cina per 33 miliardi di USD, 27 sarebbero dirottati verso altri paesi, 4 rimarrebbero appannaggio di imprese cinesi e solo 2 verrebbero sostituiti con fornitori locali. Percentuali simili riguarderebbero le macchine elettriche (25 miliardi su 32), mezzi di comunicazione (19 su 25) e veicoli da trasporto (10 su 14).

I settori coinvolti nell’esercizio sono diversi, ma le conclusioni non differiscono nel caso degli acquisti da parte della Cina. Su 14 miliardi di import di prodotti chimici dagli USA, 12 verrebbero importati da altri paesi e appena 2 continuerebbero ad essere acquisiti da imprese USA. Nel caso dei prodotti vegetali, su 13 miliardi di import dagli USA la quasi totalità verrebbe riacquistata da altri produttori, così come per i veicoli a motore (11 miliardi su 12) e i prodotti della meccanica (6 miliardi su 8). In termini geografici (non di peso relativo), la UE trarrebbe i vantaggi maggiori, con 70 miliardi di ulteriore export (50 negli USA e 20 in Cina); seguirebbe il Messico (27 miliardi, di cui 19 negli USA), il Giappone (23 miliardi), Canada (21) e Corea (16)

9 UNCTAD: Key Statistic and trends in trade policy (Febbraio 2019)
 

Effetti della guerra commerciale tra America e Cina: sulle catene regionali del valore

Oltre che sui flussi commerciali, il protrarsi dello scontro tariffario produrrebbe effetti significativi in termini di allocazione delle risorse e degli investimenti manifatturieri. Le stime dell’Unctad indicano, ad esempio, che le Value Chains dell’Est Asia e del Nord America sarebbero quelle colpite più negativamente dal calo degli scambi all’interno delle filiere. Nell’East Asia tali flussi si ridurrebbero per circa 160 miliardi di USD, mentre nell’area USMCA per circa 10 (nel Nord America - USA-Messico-Canada - gli effetti dei dazi cinesi sarebbero quindi quasi compensati). A beneficiare di maggiori flussi sarebbero in primis le filiere europee, per circa 90 miliardi di USD, seguite da quelle del resto dell’Asia (40) e del Sud America (30)
 

Possibili sviluppi delle relazioni commerciali mondiali in relazione alla mutata politica commerciale americana e ai rapporti USA - Cina

Conclusioni. Al di là dei valori delle previsioni, appare condivisibile l’opinione secondo cui l’efficacia dei dazi (USA e Cinesi) non si dispiegherebbe nel proteggere le imprese nazionali, ma nel limitare l’export del rivale. Analogamente, è assai probabile che nel medio periodo le quote di mercato liberate dai dazi verrebbero occupate da produttori terzi. Soprattutto negli USA, poiché la Cina, prima potenza manifatturiera mondiale e – soprattutto - economia pianificata, avrebbe maggior successo nel ricorso a produzioni domestiche. Appare ugualmente ragionevole stimare che, date le dimensioni del suo mercato e del suo commercio mondiale, l’UE trarrebbe dalla trade diversion i vantaggi maggiori in termini assoluti, specie dagli USA, ma gli effetti in termini relativi risulterebbero più premianti per altri attori. Basti pensare che i 70 miliardi di export aggiuntivi stimati per la UE equivalgono a meno dell’1% del suo export mondiale, laddove i 27 del Messico, o i 23 del Giappone, “valgono” rispettivamente il 5,9% ed il 2,3% delle loro esportazioni globali.

Anche sommati all’aumento degli scambi interni alle filiere produttive europee, stimati in 90 miliardi di USD, tuttavia, i costi di un avvitamento protezionistico eccedono ancora largamente i vantaggi “collaterali”. Gli scenari analizzati non considerano infatti l’altro fronte aperto dagli USA, che ci riguarda più da vicino, ossia quello transatlantico. Nell’eventualità, ad esempio, di dazi USA erga omnes del 20-25% sulle auto (che darebbero luogo a ritorsioni UE per quasi 60 miliardi di USD di import dagli USA)10, molti dei presupposti alla base dei benefici da “sostituzione” sopra descritti decadrebbero, si interromperebbero irrimediabilmente i negoziati in corso per l’accordo sui dazi industriali UE-USA e svanirebbe la possibilità di rimuovere i dazi USA sui prodotti siderurgici. Impatto ugualmente negativo si avrebbe con l’adozione di dazi compensativi da ambo le parti a seguito delle sentenze finali del WTO (tra luglio-agosto e fine anno) sui sussidi a Boeing ed Airbus, per le quali gli USA hanno stimato di poter colpire 11 miliardi di USD di import dalla UE e la UE 12 di quello dagli USA.

Le stesse previsioni, infine, non considerano le esternalità negative sulla fiducia delle imprese, sul panorama finanziario globale e sulle già traballanti istituzioni di governance economica e commerciale globale, il cui tracollo (soprattutto della stessa WTO) causerebbe un black out sistemico dalle conseguenze incalcolabili.

Il termine per la decisione sui dazi auto era il 18 maggio. È di questi giorni la notizia che l’Amministrazione americana avrebbe deciso di procrastinarla di ulteriori sei mesi, ventilando però anche un’ipotesi succedanea. Come nel caso dei dazi acciaio e alluminio, gli USA offrirebbero ai principali produttori mondiali (UE e Giappone) la possibilità di essere esentati dagli eventuali dazi adottando una auto-limitazione, ossia soggiacendo ad un sistema di contingenti (quote). Come per la siderurgia, la Commissione UE si è affrettata a dichiarare l’impercorribilità di tale soluzione.

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