Trasferimento di lavoro negli Stati Uniti con il visto E2 

I consigli umani e professionali di un manager italiano per entrare con successo nel mondo del lavoro americano

ExportUSA aiuta le aziende europee a entrare sul mercato americano e sul nostro sito, tra le altre cose, abbiamo affrontato estensivamente tutte le tematiche tecniche relative al rilascio dei visti di lavoro per gli Stati Uniti.

Quello che invece manca è una testimonianza sull'esperienza non tanto professionale quanto umana, personale, e familiare su come affrontare e prepararsi per un trasferimento di lavoro negli USA.

Ne abbiamo parlato con Alberto Salamone in America dal Settembre del 2016, attualmente Vice President di Incal Technology Inc. a San Francisco e prima General Manager di ELESIENNA, LLC - USA, una società del gruppo italiano Elemaster Group Electronic Technologies, con sedi in South Carolina e Georgia. Alberto Salamone ha pubblicato di recente un libro su questa sua esperienza: è autore del volume "Un manager italiano in America" [ISBN 10: 8868492253 / ISBN 13: 9788868492250] pubblicato da Edizioni Anteprima nel 2021.

Qui di seguito riportiamo l'intervista integrale di Lucio Miranda, Presidente di ExportUSA, con Alberto Salamone

Q) Alberto, la prima domanda che vorrei farti è questa. Che consigli daresti a un italiano che deve prepararsi a questa trasferta? Ti chiedo due consigli a livello professionale e due a livello famigliare a chi ha preso il visto E-2 e sta per partire per l'America.

A) A livello personale, la prima cosa da ricordare è che, quando si parte con la famiglia, il ruolo del partner è centrale. Se non c'è la voglia di lanciarsi insieme in questa avventura negli Stati Uniti, il manager non riuscirà a concentrarsi sul lavoro per via delle dinamiche famigliari caotiche. In più se i figli non vedranno l'entusiasmo nei genitori potrebbero soffrirne, esprimendo il proprio disagio in vari modi, come ad esempio rifiutandosi di andare a scuola o altro. In sintesi i piccoli problemi possono creare grandi disagi e mettere a dura prova anche la relazione di coppia. La seconda è che bisogna avere spirito di adattamento, e voglia di avventura. Molto meglio se si è affascinati dal mondo americano.

Dal punto di vista professionale, il primo errore che si può fare è valutare le cose solo dal proprio punto di vista. Errore che ho commesso anche io perché inizialmente imbrigliato nel ragionamento del "tu hai torto, io ho ragione", senza riuscire a guardare ai problemi da prospettive diverse. Il mio primo consiglio è dunque che bisogna innanzitutto osservare, ascoltare e imparare per capire come funziona il sistema. Dal punto di vista aziendale, bisogna evitare di centralizzare il controllo e imporre alle filiali USA processi e sistema organizzativo italiani pensando di replicare con successo un sistema già rodato, e trascurando così le differenze di contesto. Togliamoci dalla testa l'idea che il nostro modo di fare sia giusto e l'altro sbagliato perché è un approccio dannoso soprattutto per un'azienda che sta puntando ad espandersi negli Stati Uniti. Il manager in missione in USA è fondamentale per costruire un ponte tra le due culture e cercare l’integrazione tra le filiali americane e la sede centrale italiana. Lavorare con i colleghi americani ma anche e soprattutto rendere consapevole la sede centrale di quella che è la diversita del contesto. C'è un modo completamente diverso di fare le cose e questo vale soprattutto per le HR.


Q) Che dici invece della diversità nella gestione del conflitto negli Stati Uniti rispetto a ciò che accade in Italia?

A) Va detto che la cultura italiana è più diretta nella gestione del conflitto rispetto all'America. Può sembrare strano, ma in effetti è così, perché è vero che negli USA il rapporto capo-subordinato è meno gerarchico ed è anche più semplice per un dipendente dire al capo che non è d'accordo con una decisione; poi però le regole si rispettano, mentre in Italia interpretiamo, siamo più flessibili, e i conflitti possono essere maggiori. Un altro consiglio che voglio dare riguarda i feedback e come gestire il conflitto con i dipendenti: in America si dice tante volte "great", "excellent", "good job" eccetera e ognuna di queste espressioni ha un suo valore preciso. Di conseguenza, la scala dei complimenti in USA è tendenzialmente spostata verso l’alto. Va da sé che il manager italiano nel contesto USA deve sapere traslare i giudizi, per cui per esempio con i propri colleghi americani un buon lavoro deve essere definito come “excellent”, e non “it’s ok”, che, attenzione, per un americano vorrebbe dire lavoro mediocre. Nella gestione del feedback negli Stati Uniti bisogna stare attenti a come vengono dette le cose negative e specialmente bisogna far capire che non c'è solo il negativo. Io uso la metafora del “feedback a hot dog” in cui il feedback negativo è sempre contornato da almeno due commenti positivi, uno all’inizio e uno alla fine, che nella metafora sarebbero le fette di pane sopra e sotto, mentre la parte negativa del feedback sarebbe la carne. Una critica negativa senza un contorno di commenti positivi potrebbe essere interpretata come un segnale molto negativo da un americano. La gestione dei conflitti deve tener conto di questo aspetto.


Q) In termini di motivazione hai qualcosa da precisare?

A) La cultura americana è una cultura più orientata al breve-medio termine ed è più individualista rispetto a quella italiana. Nella gestione degli incentivi, per esempio, vedo premi e bonus molto più a breve termine. Eviterei premi di gruppo, privilegiando incentivi individuali. Rispetto a quello che accade in Italia, in cui il premio o il bonus magari si riceveranno tre anni dopo, in America gli incentivi sono legati alla sensibilità temporale tipica di quella cultura. A livello di motivazione intrinseca, poi, non penso che ci sia tanta differenza tra le due culture.


Q) Qual è invece il tipo di leadership ottimale per avere successo negli Stati Uniti? (Stiamo parlando di un leader che ha bisogno di un gruppo per raggiungere un obiettivo operativo, come un Country Manager)

A) Bella domanda. Al di là della letteratura che valorizza quelle qualità di base che valgono sempre dappertutto (come la leadership empatica, per esempio), qua bisogna guardare sempre alle dinamiche del mondo del lavoro americano, come la disoccupazione negli USA rispetto all'Italia. Se si vuole un gruppo coeso che lavori per l'azienda, infatti, bisogna cercare di capire e centrare gli obiettivi individuali dei propri collaboratori. Un dipendente americano insoddisfatto trova facilmente un’alternativa in un mercato del lavoro molto più dinamico rispetto a quello italiano. E se lascia l’azienda non vuol sempre dire che non condividesse più i valori aziendali, che non fosse attaccato alla maglia come i nostri colleghi italiani, che lasciano le aziende con meno frequenza, ma che probabilmente è il manager che non ha saputo ascoltare le sue esigenze individuali. L’attenzione allo sviluppo individuale dei propri collaboratori va considerata anche quando si deve lasciare andare un dipendente: in Italia non accade forse quasi mai, ma in America è uso comune per esempio che un dipendente indichi il capo attuale come referenza allegata al curriculum per cercare un nuovo lavoro. Insomma, per tenersi stretto il gruppo è fondamentale avere un rapporto aperto e onesto con i dipendenti, attento allo sviluppo individuale e alle esigenze personali dei propri collaboratori.


Q) Secondo te noi italiani in cosa siamo tipicamente o tendenzialmente carenti a livello manageriale?

A) Senza dubbio nella gestione del tempo e nel rispetto della pianificazione, che in Italia si avvale di un approccio molto "creativo". Noi infatti tendiamo a interpretare le regole e farò un esempio pratico. Quando facciamo un meeting in America i partecipanti vogliono sapere con esattezza quali sono le conclusioni, gli outcome, quindi l'ABC di cosa deve essere fatto in seguito; la dinamica del meeting nei due paesi è estremamente diversa, in Italia ci si interrompe spesso, i cellulari restano accesi ed è prassi socialmente accettata uscire per rispondere ad una chiamata. Non necessariamente i meeting si concludono con un piano di azione preciso. Al contrario l’America è il paese dell’azione, dopo la discussione si passa all’esecuzione e non alla critica alle macchinette del caffè di quanto si è appena condiviso. La gestione delle emergenze o degli imprevisti viene naturale agli italiani che non sentono neanche la necessità di incontrarsi per rivisitare il piano. Interpretano ed improvvisano. L'americano tutto questo invece non lo fa, ma è molto più bravo a seguire un piano.

Un altro esempio: si verifica un ritardo, una criticità di consegna. In Italia ci si preoccupa di trovare una spiegazione plausibile, che possibilmente punti il dito su cause esterne, per cavarsela davanti al cliente. In America un approccio del genere verrebbe visto in maniera negativa, come un tentativo di arrampicarsi sugli specchi. L'approccio più giusto è ammettere l’errore e proporre immediatamente un piano di recupero. Il valore dell'onestà è visto in maniera diversa negli Stati Uniti rispetto all'Italia: in Italia il problema lo risolvi in qualche modo, ma non necessariamente ammettendo di essere in ritardo. In America se ti comporti così puoi essere visto come un "liar" o un "cheater", una cosa grave.

Concludo con queste pillole che spero possano essere utili:

Comunica in maniera chiara e semplice. Ripeti i punti discussi e gli accordi presi, anche per email dopo una riunione. Gli USA sono un paese “low context” per quanto riguarda il tipo di comunicazione. Il non detto non c’è. Se sei un esperto in un campo dillo senza paura di risultare arrogante.

Gli americani sono moderatamente indiretti nel modo in cui esprimono le critiche. Se devi fare una critica, aggiungi anche dei punti positivi a contorno e stai attento al modo in cui formuli la critica. Gli americani sono anche meno inclini al confronto rispetto agli italiani.

Infine, nelle presentazioni parti dalle conclusioni. Negli USA prima la pratica e poi la teoria.

Speriamo che con questa breve intervista Alberto Salamone sia riuscito nell'intento di facilitare il trasferimento negli Stati Uniti delle aziende italiane.

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