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Visti per gli Stati Uniti
ExportUSA cura la richiesta di tutti i tipi di visti per gli USA. Siamo specializzati nella richiesta dei visti per lavorare come E2, E1, O1, L1
Dal lavoro precario e poco valorizzato in Italia, alla decisione di partire, alla svolta in America. Il racconto avvincente di una freelance italiana che ce l'ha fatta. Linda de Luca a soli 34 anni realizza il sogno di diventare traduttrice e interprete per serie tv e personaggi famosi. Le opportunità e le sfide, dagli inizi alla sua evoluzione, raccontati in un’intervista a ExportUsa - con cui l’interprete internazionale ha ottenuto il visto O1 per gli Stati Uniti.
Qual è stato il tuo percorso formativo e come sei arrivata in America?
Dopo essermi laureata in interpretariato e traduzione a Varese ho frequentato un Master in traduzione letteraria e scientifica. Poi ho subito iniziato a lavorare come interprete aziendale nelle fiere a Milano. Durante una fiera della moda ho conosciuto una persona che lavorava con un autore americano, Jack Ketcham (purtroppo mancato lo scorso gennaio), che notando la mia abilità linguistica mi propose di tradurre un suo libro: Red.
Un romanzo edito da Mondolibri (una collana di Mondadori), come prima esperienza di traduzione letteraria rappresentava una vetrina incredibile per me. Successivamente, entrando in contatto con l’agente dello scrittore, ho tradotto anche un altro libro: La ragazza della porta accanto (con prefazione di Stephen King). Entrambi i libri sono stati riportati su pellicola cinematografica. Nell’estate del 2009 sono stata anche invitata a Washington, all’anteprima del film tratto dal libro Red, con Brian Cocks, candidato al sundance film festival. Da questa esperienza è nato il mio amore per l’America e in particolare per New York, terra natale di Ketchman. Dall’altro lato, l’Italia cominciava a starmi sempre più stretta. Sentivo che il mio potenziale rimaneva inespresso. Il lavoro era precario e poco valorizzato, e così ho deciso di partire e tentare la strada americana.
Come è iniziata la tua esperienza lavorativa a New York?
Appena arrivata, quasi per caso, tramite Likedln, mi è capitata l’occasione di fare un corso in interpretariato medico. E per me che sono cresciuta in una famiglia di medici, e che forse è anche un po’ un rimpianto quello di non aver fatto medicina, era l’occasione perfetta di combinare le due cose. E così mi sono buttata in questa nuova avventura. Dopo il diploma ho fatto un colloquio in un’agenzia che fornisce interpreti agli ospedali e ho subito cominciato a lavorare. Le richieste sono partite dalla settimana successiva praticamente.
Come cambiano le agenzie che forniscono interpreti e traduttori in America rispetto all’Italia? Potresti lavorare in un ospedale in Italia forte della tua esperienza qui?
La differenza principale è senz’altro la mole di lavoro. Le agenzie con cui collaboro a New York mi mandano negli ospedali quotidianamente. Da Manhattan a Brooklyn, ne ho girati davvero tanti, sentendo le storie più incredibili. Dai pazienti italiani che vengono a New York a farsi curare, agli italiani che sono qui da 30/ 40 anni e che ancora non parlano bene l’inglese, e spesso e volentieri neanche l’italiano. Tantissimi dal Sud Italia, un po’ meno dal Nord.
In Italia, a mio avviso, un ospedale non è strutturato in modo tale da investire soldi negli interpreti e non è in grado di fornire un lavoro stabile. A New York, da libera professionista, lavoro da 4 anni a ritmo serrato, spesso e volentieri nel weekend. Cosa che in Italia non succedeva. Anche lavorando nei settori più comuni e proficui per gli interpreti, in Italia facevo veramente fatica a coprire 20 giornate di lavoro al mese. Qui, al contrario spesso mi trovo a rifiutare, scartando le attività meno interessanti e redditizie. Oltre al lavoro in ospedale, infatti, non ho abbandonato la traduzione scritta e collaboro anche con agenzie specializzate in questo settore.
In un mondo sempre più connesso traduttori ed interpreti dovrebbero essere una professione fondamentale, e invece in Italia è ancora un mestiere che ha pochi riconoscimenti, soprattutto a livello economico. Qual è la differenza, in questo senso, nel lavorare come free lance in America?
In America il mio lavoro è molto valorizzato. Anche nell’ambito ospedaliero l’interprete è una figura di riferimento, a tal punto che senza la sua presenza non si inizia nemmeno a interagire con i pazienti. A livello economico ognuno fa la propria tariffa, e ce ne sono di più basse e di più alte. Ma, cosa fondamentale, in America è riconosciuta l’esperienza. Nel mio caso, quindi, vengo assunta fin da subito come un’interprete professionista, perché i miei 10 anni di esperienza giustificano la mia tariffa. Invece in Italia, forse perché non esiste un albo di interpreti e traduttori (l’unico riferimento è l’AITI: associazione interpreti e traduttori italiana), c’è sempre una tendenza al ribasso. Nelle traduzioni ad esempio, quando chiedevo un tot a cartella (1500 caratteri inclusi gli spazi) mi dicevano sempre: “Puoi fare un po’ meno? Perché noi diamo questo”. Quando poi mi volevano retribuire 10 euro a cartella lo trovavo veramente un insulto.
A proposito di traduzione scritta, quanto conta una preparazione adeguata e quanto contano, oltre alle parole, i valori e l’identità culturale?
Nella traduzione, e non parlo solo di libri, ma anche delle serie TV ad esempio, la trasposizione dei concetti e delle sfumature può prescindere persino dal testo a volte. In sostanza un lettore deve scordarsi che c’è un testo sorgente. Come nel caso in cui si traduce letteralmente un certo modo di dire e non suona naturale, si sente cioè che c’è un mediatore. Oppure nel caso in cui il testo presenti un dialetto. Ad esempio, ho tradotto una sceneggiatura di un film di Camilleri - La mossa del Cavallo - che era scritta per metà in siciliano. È chiaro che non si può chiedere di tradurre in inglese il siciliano con un inglese del Sud degli Stati Uniti perché sarebbe ridicolo. A quel punto l’unica soluzione è lasciare il testo originale e inserire una traduzione standard, lasciandosi semplicemente immergere dai suoni di un dialetto per coglierne soltanto il senso.
Preferisci l’intimità di una dimensione riservata mentre traduci un testo scritto o il cambiare continuamente interlocutore, negli ambienti più disparati, magari anche davanti a una platea? Cosa rispecchia di più la tua personalità?
Questa è una domanda che mi faccio spesso anch’io. Per qualche anno a parte l’insegnamento mi sono concessa solo alla traduzione, sia dal punto di vista dei libri, che di alcuni testi per riviste. E ho capito che per quanto sia bello e intimo, dopo un po’ io ho bisogno di interagire con il genere umano. Ed è per questo che amo tanto il lavoro di interpretariato negli ospedali, sia per l’emotività e l’empatia che posso mostrare con i pazienti, sia perché è un lato del mio carattere che mi piace nutrire. Però io direi 50 e 50.
A proposito di interpretariato, come sei diventata la voce italiana di Saviano a New York e quali sensazioni ti porti a casa lavorando con lui in America?
Una delle agenzie per cui lavoro un giorno mi ha chiamato perché serviva un’interprete per un’intervista tra uno scrittore italiano e una modella, senza dirmi chi fossero. E mi sono ritrovata tra Roberto Saviano e la famosa modella curvy Ashley Graham in un loft a Soho. E da lì è nato un rapporto di fiducia con Saviano e abbiamo iniziato a collaborare, perché aveva bisogno di una figura come la mia che lo seguisse qui a New York. Devo ammettere che prima di lavorare con lui, ormai è circa un anno, non ero un’esperta di mafia (o meglio di mafie italiane), a parte un po’ di interesse comune per le principali notizie di cronaca. Con lui ho cominciato ad ampliare la mia conoscenza in tal senso, trovandomi anche a scavare nelle radici del mio stesso territorio: nel Varesotto per dire, dove non avrei mai immaginato di scoprire una realtà mafiosa. Come sua interprete ufficiale, a livello tecnico, non solo devo stare molto attenta nella scelta dei termini, ma, ancora una volta, alla resa di alcune espressioni dialettali. Tutti i progetti che ho seguito con Saviano sono stati davvero illuminanti. Mi hanno dato l’accesso a nuovi mondi, aiutandomi ad approfondire la mia cultura a livello personale. L’ho accompagnato a Los Angeles, negli uffici di Netflix, a proporre una serie TV da lui ideata, in Svezia per la promozione del suo libro e anche in giro per i quartieri di Napoli, dove ci siamo recati insieme a un giornalista del New York Times.
D’altra parte, lavorare con Saviano spesso implica il saper gestire un clima di tensione, per il suo interporsi nel mondo politico con le sue idee molto forti. E così ho scoperto anche lati del mio carattere che non conoscevo, dal mantenere i nervi saldi quando il clima è teso, al coraggio di esporsi in ambienti potenzialmente pericolosi. Quando giri per la strada con guardie del corpo con il giubbotto antiproiettile pensi “Ok, sono a rischio o non lo sono?”. E poi ti dici “Ma anche se fossi a rischio io ormai sono qui, mi sono messa in gioco e se sono qui significa che non ho paura, anzi, voglio far capire a certe persone che vogliono incutere timore che non hanno tutto questo potere”. In fondo faccio solamente il mio lavoro, però ci sono persone che corrono il rischio e altre che preferiscono stare in ambienti più sicuri. Ho scoperto che mettermi in gioco mi stimola molto.
In America è così conosciuto Saviano?
Gomorra ha avuto molto successo negli States, sia per l’attualità dell’argomento, ossia del narcotraffico, sia perché si smonta un pochino anche lo stereotipo dell’Italia della Napoli pizza e mandolino. C’è una realtà dietro che non è fatta solo di leggende sulla mafia. All’interno del sistema mafia c’è molto di più. Ci sono i ragazzini che gestiscono le piazze di spiaccio come dice sempre Roberto Saviano nelle sue conferenze. E anche se in America c’è meno tensione perché ovviamente non c’è tutta l’esposizione mediatica che c’è in Italia, però ci sono persone che camminando per strada lo riconoscono, che vogliono autografi, selfie, ecc.
Poi sei arrivata anche alle serie TV e a tradurre la scenaggiatura di Grey's Anatomy per Pumaisdue. Quanto ha contato secondo te la tua esperienza come interprete negli ospedali a New York, per collaborare con la più importante casa di doppiaggio italiana di film americani?
Quando mi sono proposta di tradurre per la Pumaise 2, in particolare per Grey's Anatomy, l’aver spiegato la mia storia e l’aver detto che lavoro quotidianamente negli ospedali a New York è stata la mia carta vincente, la chiave per aver acquisito subito credibilità. Tanto è vero che la risposta alla mia prima mail è stato un episodio da tradurre per fare subito una prova. La serie è incentrata sulla pratica media negli ospedali ed è proprio quello che io vedo tutti i giorni in ospedale, magari in maniera meno cinematografica, ma è il mio ambiente di lavoro quotidiano: dal camice degli infermieri alla sala operatoria dove a volte accompagno il paziente fino a che non si addormenta, che è esattamente uguale a ciò che si vede nella serie TV.
Dopo Grace Anatomy hai tradotto anche The People, di Shona Rhimes (famosa produttrice anche di altre serie TV come How to get way with murder e Scandal) e i Trolles. Una sfida che invece non ti aspettavi di incontrare lavorando con le produzioni americane?
Devo dire che il film Trolles è stato una bella sfida, perché non mi aspettavo che servisse tanta creatività. Nel senso che oltre alle espressioni idiomatiche, che ci sono un po’ ovunque, in Trolles c’era anche la necessità di creare parole completamente nuove. Nella scena in cui le persone vengono punite facendole divertire, ad esempio, nella sceneggiatura originale viene usata la parola Funishment, dall’unione delle due parole inglesi fun (divertimento) e punishment (punizione). La mia soluzione per trovare un corrispettivo in italiano che combinasse le parole divertimento e punizione è stata “divertizione”. Questo è solo un esempio, ma in tutto il film mi sono trovata a dover inventare dei neologismi: dal nominare certi tipi di bosco o quella particolare bevanda. Difficoltoso da una parte, divertente dall’altra. Soprattutto se penso all’adattamento di testi musicali in rima, visto che sono anche musicista.
Raccontami una tua giornata di lavoro qui.
Mi alzo alle sette di mattina e alle nove ho il primo appuntamento con il primo paziente. In media giro dai due ai tre ospedali al giorno, tra cui spesso il Memorial Sloan Kettering: l’ospedale oncologico più famoso di New York. Il lavoro negli ospedali mi occupa fino alle 3 del pomeriggio e nelle pause tra un appuntamento e l’altro riesco anche a inserire 2/3 ore di traduzione, con il mio pc sempre in spalla di solito mi infilo in uno Sturbucks. E poi dalle 4/5 fino alle 8:30 di sera sono nelle scuole. Insegno italiano sia all’UNIS, la scuola dell’ONU, dove insegno a ragazzini, sia alla Collina italiana, una scuola di lingua italiana molto famosa a New York, dove tengo lezioni a gruppi di adulti, e dove più di una volta ho incontrato grandi personaggi americani. Ieri, per dire, avevo in aula come studente il produttore di Whoopi Goldberg.
Domanda retorica. Se fossi rimasta in Italia pensi avresti avuto le stesse opportunità?
No, assolutamente no! Ho lavorato come libera professionista in Italia, per 6/7 anni, e facevo fatica non solo ad arrivare a fine mese, ma anche a farmi pagare. Qui invio una fattura e vengo pagata dopo 6/7 giorni, due settimane al massimo. In Italia dopo 6 mesi a volte dovevo prendere il telefono e fare il recupero crediti. Dopo un po’ anche questo aspetto è frustrante.
Sei una donna che ha avuto successo lavorando con la lingua italiana in America. Un consiglio a chi si approccia oggi alla tua professione e magari vuol fare il salto dall’altra parte dell’Oceano.
Il primo consiglio che darei, una volta arrivati qui, è di specializzarsi subito in un ambito. Avere una base da cui partire che porti un introito fisso economico è importante. Magari anche soltanto per il cv, ma fare dei corsi di approfondimento in certi settori. Un altro consiglio fondamentale, e che qui è un culto, è fare networking. Iniziare a cercare via linkeldin o tramite gruppi di lavoratori specializzati in interpreti e traduttori. O anche semplicemente italiani che già lavorano qui, per iniziare a crearsi una propria rete di contatti lavorativi. E di non scendere mai a compromessi dal punto di vista del budget, di non andare al di sotto di una certa tariffa: mai svendersi!
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