Come vendere il Made in Italy negli Stati Uniti? [Parte 2]

Branding e adattamento del prodotto ai gusti americani sono essenziali per avere un business di successo

Un errore comune di molte società italiane è pensare che basti la qualità del prodotto per dire “Ce l’ho fatta” negli Stati Uniti. Niente di più falso. Per vendere in America è fondamentale adattare sia il prodotto che la comunicazione al mercato americano, andando oltre il semplice Made in Italy che, come ha spiegato Marco Baldocchi nell’articolo precedente, non è più sufficiente.

Il caso di un’azienda calabrese che ha deciso di aprirsi a nuovi mercati ci offre un esempio di quanto il modo in cui un prodotto viene presentato influenza la percezione dei consumatori statunitensi.

L’esperimento del pomodoro calabrese sul mercato USA

L’azienda ha provato a vendere negli Stati Uniti una pizza artigianale condita con il pomodoro giallo di Calabria, un ingrediente esclusivo che pensavano avrebbe spopolato. Alla fine, l’87% dei consumatori americani analizzati con strumenti di neuromarketing non era in grado di distinguere il pomodoro giallo da quello rosso né attribuiva alcun valore aggiunto a questa caratteristica. Soprattutto, quasi nessuno (il 96%) capiva perché il prodotto costasse il 40% in più rispetto ad altre pizze benché per l’azienda che le produceva era ovvio (il pomodoro giallo calabrese).

Solo quando i consumatori sono stati coinvolti in una narrazione che spiegava il valore aggiunto del pomodoro giallo la loro percezione è cambiata. Dopo aver appreso la storia e la tradizione dietro l’ingrediente, il 62% dei consumatori ha riconosciuto il prezzo premium come giustificato. Ciò dimostra che gli americani non comprano un prodotto solo per la qualità intrinseca: vogliono capire il “perché” del valore.

La maledizione della conoscenza di chi inizia a vendere negli Stati Uniti

Parlare di Made in Italy e incentrare tutta la comunicazione su questo concetto non basta per far sì che il consumatore scelga un brand piuttosto che un altro. Questo accade perché l’azienda, quando decide di internazionalizzare negli Stati Uniti, cade vittima della maledizione della conoscenza o “Curse of Knowledge”, un bias cognitivo che fa presumere che gli altri sappiano quello che sappiamo noi.

Nel momento in cui un’azienda decide di aprirsi a un nuovo mercato essa ha una conoscenza talmente elevata del suo prodotto e della reazione del mercato italiano che dà per scontato che lo stesso effetto sarà generato nel nuovo pubblico. La medesima azienda non tiene in considerazione che molto probabilmente il nuovo potenziale cliente non sa niente di quel prodotto, non ne ha l’esperienza di utilizzo e forse nemmeno amici che lo conoscono e che possono influenzarlo.

Il rischio è di esportare o vendere negli USA un prodotto che, benché eccellente, non comunica il suo valore.

Branding e comunicazione per gli USA: perché sono importanti?

Il caso del pomodoro giallo di Calabria mette in luce un aspetto spesso sottovalutato da chi ci contatta, vale a dire la necessità di adattare il prodotto e la comunicazione alle aspettative del mercato americano. Ecco alcune lezioni fondamentali per le aziende italiane:

Tutto questo fa parte delle attività di branding per gli Stati Uniti, che includono anche il naming del brand, la sua identità visiva e verbale e il suo posizionamento di mercato.

Commercio negli Stati Uniti: come avere un vantaggio competitivo reale?

Cosa ci ha dimostrato questo episodio?

Che un prodotto di nicchia, fortemente Made in Italy, può diventare interessante per il suo potenziale pubblico solo se questo viene ingaggiato, nel modo corretto, a livello emozionale prima che cognitivo.

Questo “ingaggio” avviene rendendo unico il prodotto e rendendolo riconoscibile grazie a dettagli che stimolano l'inconscio del consumatore, che si possono individuare attraverso il neuromarketing.

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