Come lo Slow Fashion sta trasformando la moda negli Stati Uniti e perché conviene investire su di esso

Le abitudini di consumo dei giovani americani stanno mettendo in discussione il modello di business del settore fashion. Le società che vendono abbigliamento negli Stati Uniti devono ripensare radicalmente la loro attività.

Negli Stati Uniti il futuro dello shopping sembra un pò più vintage. Si prevede che una fetta in crescita di negozi di capi di seconda mano rovescerà la regnante industria del “fast fashion”, o anche della moda veloce.

Il fast fashion in America ha un enorme impatto ambientale, sia a monte che a valle. La produzione di abbigliamento richiede un’enorme quantità di energia e risorse e dipende dall’uso di coloranti e altre sostanze chimiche che possono provocare reazioni allergiche e contaminano le acque; a valle, poi, diventa difficile smaltire i prodotti perché gli indumenti vengono mediamente indossati solo dieci volte prima di essere gettati e le centrali di smaltimento finiscono per trovarsi con enormi quantitativi di rifiuti dalla forte impronta ecologica che, quando bruciati, sono responsabili di ulteriori ed evitabili emissioni di anidride carbonica.

Il nuovo rapporto di ThredUp, uno dei più grandi rivenditori online al mondo, dipinge l’immagine di un fiorente mercato americano della vendita dell’usato che potrebbe soppiantare H&M e Zara: secondo il rapporto, il 40% dei consumatori americani di articoli usati ha dichiarato di stare sostituendo gli acquisti di fast fashion con quelli di abbigliamento di seconda mano e si prevede che la rivendita sarà più che duplicata rispetto al fast fashion entro il 2030. Peraltro, in un sondaggio globale condotto su 27000 persone a ottobre, GlobeScan ha rilevato che il 77% dei consumatori era interessato ai prodotti durevoli e il 53% era interessato a far riutilizzare, riparare e riciclare dai brand i prodotti acquistati; più della metà era interessata a comprare meno cose in generale.

 

I Millennials e i Gen Z americani stanno trainando la tendenza della moda vintage negli USA e le società italiane devono saper cogliere l’opportunità

Questo dato non sorprende viste le preferenze di consumo a favore della sostenibilità da parte dei giovani in tutti i settori merceologici degli USA

Millennials e Gen Z statunitensi hanno mostrato una maggiore domanda di prodotti sostenibili da quando le grandi catene di vendita al dettaglio sono state condannate a causa del loro forte impatto ambientale e dei rifiuti che generano. Ad esempio, acquistare di un capo usato fa risparmiare quasi 8 kg di emissioni di carbonio normalmente rilasciate durante la produzione di indumenti, riducendo l’impronta di carbonio dell’82%; secondo ThredUp, i consumatori di capi usati hanno acquistato in media sette articoli di seconda mano nel 2020, risparmiando l’emissione di 4 miliardi di kg di CO2.

Tuttavia, il forte impulso del mercato dell’usato nel 2020 ha avuto origine per un motivo diverso, che riguarda soprattutto il potere d’acquisto dei consumatori americani. Molte più persone si sono trovate con pochi soldi da spendere e hanno dichiarato di essere più attente al risparmio rispetto a prima che la pandemia divampasse negli USA.

 

Molte società americane sono aperte all’idea di offrire prodotti di seconda mano ai consumatori

La vendita vintage diventerà parte importante della loro attività nei prossimi anni

Per stare al passo con le tendenze di mercato in America bisogna accogliere l’innovazione. Così, l’industria dell’abbigliamento statunitense si sta trasformando in una miriade di modi. Negli ultimi mesi, aziende come Express, J. Crew e Urban Outfitters hanno iniziato a collaborare con venditori esterni sui loro siti web, creando dei marketplace dedicati a chi vuole ridurre la propria impronta ecologica risparmiando allo stesso tempo denaro. Anche il colosso del denim Levi’s, consapevole del costo ambientale che ha la produzione dei jeans, ha lanciato una campagna a favore della qualità e a discapito della quantità, “Buy Better, Wear Longer”.

Fondamentalmente, l’obiettivo è creare flussi di entrate non basati sulla vendita di nuovi prodotti, ispirandosi alle regole dell’economia circolare. Principio, questo, che sta timidamente prendendo piede anche in Italia, dove stanno nascendo attività di abbigliamento vintage sia fisiche che online.

Insomma, quando i consumatori hanno minore potere d’acquisto i commercianti devono poter rispondere alla loro esigenza di risparmiare. La moda vintage offre una perfetta soluzione a questo problema: gli imprenditori più lungimiranti e con buon gusto potranno attingere a una quantità infinita di capi adatti a tutti i target, belli e di qualità, per dare una spinta a uno dei settori che in America ha maggiormente sofferto la crisi pandemica del Covid.

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