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Branding: Il caso di American Girl
Costruire un Brand negli Stati Uniti: Bambole con un fatturato da 125 milioni di dollari, quando il brand conta più del prodotto
Le vendite al dettaglio di abbigliamento intimo stanno crescendo in tutto il mondo, al punto che si stima una crescita del 6,2% tra il 2021 e il 2022. Tuttavia, le vendite nette di Victoria’s Secret, il brand americano di intimo femminile più conosciuto e sognato al mondo, non hanno fatto che scendere durante gli ultimi due anni: basti pensare che nel 2020 la società ha incassato il 20% in meno rispetto al 2019, anno in cui il suo storico CMO ha dato le dimissioni in seguito al lancio della prima modella apertamente transgender di Victoria’s Secret, Valentina Sampaio.
In effetti, l’intolleranza del brand nei confronti della diversity e dell’inclusività non è mai stata cosa ignota. Nel 2018 l’ex CMO Ed Razek ha dichiarato a Vogue che il marchio non era interessato ad assumere modelle transgender o plus size per il suo Fashion Show annuale e gli “angeli”, ovvero le top model ambasciatrici di Victoria’s Secret, hanno sempre rappresentato un ideale corporeo di donna enormemente desiderabile ma difficilmente emulabile.
Per decenni, Victoria’s secret è stata conosciuta per le sue top model bellissime, tra cui Heidi Klum, Adriana Lima e Sara Sampaio, per i suoi Fantasy Bras da milioni di dollari e per le travolgenti sfilate che sono diventate parte essenziale della brand image dell’azienda. Malgrado ciò, di fronte alle offerte inclusive di brand come SavageXFenty di Rihanna (che, lo ricordiamo, attualmente vale un miliardo di dollari) la bellezza perfetta e irraggiungibile divulgata da Victoria’s Secret ha subito una brusca battuta d’arresto.
In poche parole, i consumatori americani più giovani e attenti ai valori veicolati dai brand hanno modificato le loro preferenze di acquisto gravitando verso marchi più inclusivi che danno spazio al cosiddetto “female gaze”, lo sguardo femminile contrapposto al “male gaze”, che sarebbe il modo in cui le cose (o nel nostro caso le donne) sono comunemente guardate e descritte.
La scorsa settimana, la società di lingerie statunitense ha annunciato il “Victoria’s Secret Collective”, un gruppo eterogeneo di sette donne famose per i loro successi e non per le loro misure, tentando di cavalcare anch’essa il trend della body positivity. Il mercato americano, infatti, si sta sforzando sempre di più per includere tutti i tipi di corpi e di incentrare la pubblicità sulla body positivity: non a caso, il 24% dei consumatori americani ha affermato di avere apprezzato lo spostamento verso modelle e modelli plus size nelle pubblicità di biancheria intima, sintomo, questo, di un vero e proprio cambiamento delle norme culturali negli Stati Uniti.
Nel gruppo figurano: Megan Rapinoe, calciatrice e attivista per l’equità di genere di 35 anni; Eileen Gu, sciatrice cinese diciassettenne che parteciperà alle Olimpiadi; Priyanka Chopra Jonas, attrice e investitore tecnologica indiana di 38 anni; Paloma Elsesser, modella plus size ventinovenne che già vanta una copertina di Vogue.
Queste donne avranno la missione di conferire una nuova immagine al brand di lingerie, ridefinendo il concetto di “sexy” in un modo inedito e condivisibile (si spera) da una fetta di consumatori sempre più ampia. Del resto, chiedersi se un brand può cambiare è una domanda sbagliata. Quello che dobbiamo chiederci è: che cosa vuole diventare il brand? Perché soltanto così si può giungere alla conclusione che Victoria’s Secret dovrà lavorare tanto per svincolarsi dall’immagine accumulata in tanti anni sul mercato dell’intimo, adattandosi ai nuovi valori del proprio target e fortificando il perduto brand engagement.
Solo il tempo saprà dire se la missione di Victoria’s Secret ha avuto successo negli USA. Nel frattempo, noi siamo curiosi di vedere quali saranno le prossime mosse del leggendario brand.
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