Boom della cucina romana nei ristoranti a New York

Gli americani temono meno i carboidrati, e nei menù dei ristoranti americani non può più mancare né la pizza al taglio né il cacio e pepe

Le entrate principali per il Redbury Hotel a Nomad (North of Madison) - quartiere di Midtown a Manhattan – sono due  ed entrambe si affacciano su uno spaccato di una "Roma a New York" quanto mai verosimile

Al lato Sud, sulla 29esima strada a New York, c’è Marta, il ristorante pizzeria aperto da 3 anni dal Gruppo “Union Square Hospitality” dello Chef ristoratore americano Danny Meyer, che ha appena inaugurato anche una seconda location a Downtown, chiamata Martina. Mentre entrando dalla 30esima strada, si viene subito accolti da Caffè Marchio, dove i newyorchesi vengono incoraggiati a prendere il caffè in piedi alla romana (al claim di “a traditional Roman stand-up coffee bar”) e magari con un cornetto glassato all’albicocca.

Lungo il corridoio troviamo invece Vini e Fritti, l’ultimo locale di USHG, un wine bar in cui vengono serviti piatti romani come i carciofi fritti e il supplí di riso (il tipico fritto romano). 



“I piatti della cucina romana hanno carattere ed è fonte d’ispirazione”, afferma Joe Tarasco di USHG, Chef Executive di tutti i progetti realizzati al Redbury. In un’epoca in cui gli americani sono soliti mangiare qualcosa al volo davanti al pc in ufficio, e i ristoranti che fino a qualche anno fa non avrebbero mai fatto delivery, ora propongono piatti economici a base di caviale, “Forse non possiamo convincere le persone ad entrare e ordinare una bottiglia di vino”, sostiene Tarasco, “Ma possiamo pur sempre offrire qualcosa che sia al tempo stesso conveniente e gustoso, rinunciando volentieri al format “full-service”.

Tenendo tutto questo bene a mente, si tratta solo di capire come riuscire a dare ugualmente un buon prodotto, che riesca a soddisfare appieno il gusto del cliente. E la risposta è semplice: basta prendere esempio dalla Città Eterna. 

"Via della Pace" - Il Papà di tutti i ristoranti romani di New York

Non dimentichiamo che la cucina romana per eccellenza è stata portata a New York oltre dieci anni fa da romani "veraci" con Via Della Pace, ristorante di successo dell'East Village di cui avevamo scritto in precedenza:

Ristoranti di successo a New York: Via della Pace

Il fenomeno romano va ben oltre l’idea del solito ristorante ben assortito a New York. La diffusione di ristoranti americani che rubano ricette dalla capitale italiana ormai è massiccia, tanto da aver reso la cucina romana uno dei trend dominanti tra i ristoranti in America. Tale popolarità ci rivela anche che cosa significhi oggi essere un ristorantino stile “diner” americano: essere dinamici e più orientati verso cucine regionali di lunga tradizione, senza tanti fronzoli, ma consapevoli del momento storico che stiamo vivendo; in cui gli ingredienti stagionali sono una certezza e la paura verso i carboidrati da parte degli americani non lo è più. 

“La cucina romana ha conquistato gli Stati Uniti anche grazie a Meyer, che in età giovanile lavorò come guida turistica a Roma”, afferma Katie Parla, lei stessa giornalista gastronomica e guida turistica a Roma per ben 15 anni. Da quando Meyer e il suo team lavoravano all’apertura della trattoria Maialino, a Manhattan, inclusi Tarasco e Nick Anderer – rispettivamente Chef Executive di Martina e Chef fondatore di Marta e Maialino – molto del loro tempo è stato dedicato anche alla ricerca e a esplorazioni culinarie nei ristoranti della città.  

Meyer aveva anche fatto prendere lezioni a Lena Ciardullo -  la Chef di cucina di Marta - dai famosissimi pizzaioli Stefano Callegari e Gabriele Bonci, prima dell’apertura del 2014 (collaborazione resa possibile anche grazie al contributo di Parla).  “È proprio grazie a tutte queste connessioni”, afferma Parla, “che la cucina romana è passata da qualche sporadica location, alla diffusione e al prestigio di oggi”. 

La seconda ondata è arrivata invece sotto forma di porchetta e, soprattutto, cacio e pepe (la classica pasta romana a soli 3 ingredienti) che negli ultimi anni è diventata quasi una ricetta obbligatoria, per chiunque non possa fare a meno dell’elemento simbolo del made in Italy nel proprio menù: la pasta. 

Come evidenziato da un articolo del 2016 di Tasting Table, la varietà di versioni delle ricette tradizionali è ampia. Un esempio è quello dei bucatini, trasformati da “cacio e pepe” a “ceci e pepe”, nella rielaborazione degli Chef Jon Shooke e Vinny Dotolo, che hanno sostituito il pecorino romano con una pasta di ceci fermentati con una parte di riso basmati, simile a un formaggio spalmabile. Il piatto di maggior successo all’apertura del Nishi, ristorante dello chef americano coreano osannato in America, David Chang, e vincitore del concorso “Il primo di New York” nel 2017, prestigiosa competizione tra soli cuochi di ristoranti newyorchesi.

Cacio e pepe e porchetta dunque, sono “la nuova droga di passaggio tutta romana”, dice Tarasco. “E dal momento che le persone hanno reagito così positivamente ad alcuni piatti romani, ora ci sono chef e ristoratori che parlano dell’opportunità di allargare i propri orizzonti in cucina”Senza menzionare però la grande opportunità per gli chef romani di aprire un ristorante a New York ed entrare in questo mercato.

Non solo a New York, ma anche a Roma, un pranzo seduti al ristorante è meno comune oggigiorno. Trapizzino, aperto a Roma nel 2008, è approdato a New York lo scorso febbraio nella Lower East Side, ha trovato la soluzione perfetta. Il proprietario pizzaiolo, Callegari, ha infatti saputo riadattare i classici piatti romani che richiedono ore di preparazione, come la lingua in salsa verde e la trippa alla romana, proponendoli come ripieno di una pizza-sandwich a cono, in una versione dal sapore più leggero, e ottenendo così il benestare del co-proprietario Nick Hatsatouris e del suo team, che lo hanno inserito a menù come piatto tradizionale dai due secoli di storia. Hatsatouris lo vede come “una tradizione dal formato nuovo”, mentre Parla la chiama “rivoluzione totale”.

La scorsa estate, Bonci – il fondatore di Pizzarium a Roma - ha aperto la sua prima location “d’avanguardia” (chiamata Bonci) negli Stati Uniti, con l’aiuto dell’ex Chef Rick Tasman, della famosissima catena P.F. Chang’s. Disposte una accanto all’altra, le pizze rettangolari ricoprono il lunghissimo bancone, con uno staff pronto a ricevere l’ordine e a tagliarle con le forbici, nello stesso modo in cui lo farebbero a Roma: come la pizza patate e mozzarella e la “rossa”: preparata con la passata di pomodoro, la burrata e le acciughe. 

Bonci e Tasman hanno mantenuto un menù vicino a quello della casa madre, con un’unica esclusione: la pizza alla trippa, in attesa che i clienti si abituino al loro nuovo concept. “Non sappiamo ancora come potremmo tradurla”, afferma Tasman. “A Chicago le persone vedono con un certo orgoglio il prodotto pizza, in quanto eredità culinaria”. E finora hanno dimostrato un grande entusiasmo, per ciò che Tasman classifica come “qualcosa di diverso”: ripartire da una pizza con la crosta sottile, in quanto prodotto gastronomico profondamente radicato nelle abitudini alimentari romane – e, più in generale, dai piatti tipici del Sud d’Italia, che sono capisaldi della cucina italiana in America.

“Se va tutto come previsto, apriremo altre location sulla stessa linea. Abbiamo esportato questo modello per dimostrare che questo concetto funziona”.E la pizza sottile stile romano sta facendo passi da gigante in tutti gli Stati Uniti. A settembre ha aperto Il Romanista, a Los Angeles, che propone 15 gusti di pizza tipicamente romani. A Philadelphia la pizzeria Roman style è già di casa e si chiama Rione, e ne aprirà un’altra prima della fine dell’anno. 

Queste pizzerie al taglio (anche Trapizzino ha come obiettivo quello di espandersi negli USA) offrono essenzialmente un’esperienza fast casual, senza darti però la sensazione di essere nell’ennesima versione di Chipotle, un sollievo nel 2017. Il punto non è se i clienti cerchino davvero prodotti tipicamente regionali o da asporto, il punto è che sono stanchi di una cucina troppo elaborata e sofisticata, e quella romana è ciò che si potrebbe definire una cucina onesta. “Era già accaduto nel 2010 che la cucina romana esplodesse come un vero e proprio trend a New York”, spiega Florence Fabricant, “la semplicità è il marchio di garanzia della cucina”. 
 

A New York, La cucina romana ha saputo rispondere dunque a due fondamentali requisiti del 2017: ingredienti stagionali e cibi reperibili durante tutto l’arco della giornata

Da Bonci le farciture della pizza cambiano nel corso dell’anno. Tarasco alterna gli ingredienti del suo menù a ritmo stagionale: al Marta la pizza al fiore di zucca ad esempio è proposta solo d’estate, così come a Caffè Marchio, le verdure del sandwich alla “stracciatella e pesto” ruotano stagionalmente. Come evidenzia Tarasco, “Roma propone sempre qualcosa di diverso e buono, a seconda dei vari momenti della giornata”. Bonci rimane aperto dalle 11 di mattina alle 10 di sera quasi tutti i giorni; Trapizzino propone la sua pizza sandwich dalle 11 alle 15 nel weekend, e all’ hotel Redbury c’è sempre un posticino a offrire una “vista su Roma”, dalle 7 alle 14 per quasi tutta la settimana.

E non conta il fatto che il menu del ristorante romano-americano non corrisponda esattamente a quello originale. Tarasco afferma che il suo periodo romano è servito soprattutto a trasmettere delle idee al suo team. “Il mio lavoro consiste nel lasciargli creare ricette per il menu, ispirandoli e guidandoli attraverso la mia visione di Roma. Marta non è non è una cucina romana al 100%, ma la vera domanda è: come si fa a creare dei piatti dal profumo romano senza copiarli tali e quali dal menu di una trattoria tipica?”

Per Tarasco, come per il team di Bonci, il vero adattamento gira tutto intorno alle frattaglie. “I romani adorano gli scarti e le frattaglie. Non si può dire lo stesso degli americani”. Quindi è stato preso il guanciale, ad esempio, ed è stato creato un sandwich insieme ai pomodorini, l’insalata, la rucola e il Grana Padano. In questo modo “si attutisce il colpo”, afferma Tarasco. 

E non sono le uniche leggere modifiche adottate. A Caffe Marchio, sono stati aggiunti alcuni sgabelli per quei clienti che a differenza dei romani, preferiscono sedersi e soffermarsi mentre bevono il loro caffè. Questi piccoli cambiamenti hanno aiutato la cucina romana a trovare il successo in America.

Parla paragona questo approccio con quello effettuato da Alon Shaia con la cucina israeliana del Shaiya, a New Orleans, e con ciò che Michael Solomonov ha realizzato al Zahav, a Philadelphia: questi chef “possono andare in un posto ed essere testimoni di un’identità culinaria, e saperla riportare negli Stati Uniti con leggeri adattamenti ai gusti dei propri clienti”.

Per come la vede Parla, la maggior parte della cucina romana in America del 2017 riguarda “la celebrazione di una cultura distinta, ma riadattata perché possa funzionare altrove, ossia al luogo e alla cultura in cui si inserisce”. E, infine, il dettaglio cruciale che ha determinato questo grande successo: finalmente gli americani non hanno più paura dei carboidrati.

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